Questo articolo è il quinto capitolo della lunga intervista a fra Fiorenzo Priuli, cuore pulsante dell’Ospedale Saint Jean de Dieu di Tanguiéta.
Un capitolo speciale, perché racconta una storia che va oltre la medicina e tocca una dimensione più profonda: quella dell’incontro tra fedi.
Ci sono amicizie che nascono per caso, altre che sembrano scritte per ricordarci ciò che spesso dimentichiamo: non esiste cura senza relazione, e nessuna relazione è impossibile quando c’è rispetto.
Quella tra fra Fiorenzo Priuli e il califfo Moussa Aboubakar Hassoumi appartiene a quest’ultima categoria.
Un frate cattolico e un leader spirituale sufi; due tradizioni diverse, ma un solo intento: prendersi cura dei più poveri.
Tutto comincia quasi trent’anni fa, con un malato arrivato da Kiota, in Niger. Viene curato, guarisce, torna dal suo marabutto e racconta ciò che ha vissuto a Tanguiéta.
Da quel giorno, ogni paziente che parte da Kiota verso l’ospedale porta una lettera personale: poche righe, un affido, e sempre la stessa promessa — ti ricorderemo nella preghiera del venerdì.
Un gesto semplice, che diventa il primo mattone di un ponte interreligioso che esiste ancora oggi.
Fra Fiorenzo vive a Tanguiéta da oltre quarant’anni. Il suo ospedale è un avamposto umano prima ancora che medico:
un luogo dove ciò che conta è la persona, non l’appartenenza religiosa o il reddito.
Il califfo Moussa Aboubakar Hassoumi guida una delle più importanti comunità sufi dell’Africa occidentale, custode di una tradizione che ha fatto del dialogo il suo fondamento.
A unirli non è solo la stima reciproca. È la convinzione che la salute non può essere un privilegio.
Che servire chi soffre è un atto spirituale, indipendente dal credo.
Per questo, negli anni, il califfo ha inviato centinaia di malati a Tanguiéta.
Per questo, fra Fiorenzo li accoglie uno per uno, sempre con lo stesso sorriso.
Fra Fiorenzo ricorda bene l’unica volta in cui andò a trovare il califfo di Kiota. Si presentò con discrezione.
Trovò un’accoglienza che non avrebbe mai immaginato: migliaia di persone, radunate per salutarlo.
«Erano tutti i miei pazienti», sorride ancora oggi.
Non era un gesto politico. Era gratitudine. Era affetto.
Era la prova vivente che le fedi, quando sono autentiche, avvicinano. Non dividono.
Kiota è un luogo di pellegrinaggio spirituale per i membri della Tijaniyya.
Tanguiéta, per molti di loro, è diventata un’altra tappa fondamentale: quella della cura.
«Siamo tutti discepoli di Florent!», dicono i pazienti del Niger.
Discepoli non nel senso religioso, ma umano: testimoni di un’amicizia che ha attraversato frontiere geografiche, culturali e spirituali.
In un’epoca segnata da tensioni e fondamentalismi, questa storia ricorda qualcosa di essenziale:
quando la fede è al servizio della vita, genera pace.
Sostenere l’ospedale significa sostenere una visione:
quella di un luogo dove cristiani e musulmani lavorano insieme, ogni giorno, per restituire dignità e salute a chi ha meno di tutti.
Se vuoi essere parte di questa storia — reale, concreta, necessaria — puoi farlo anche tu.