La salute non è solo assenza di malattia. È anche capacità di dare senso alla propria vita, nonostante le difficoltà. È su questo presupposto che si fonda la cura integrale, uno dei pilastri valoriali dell’Ordine Ospedaliero dei Fatebenefratelli, che da secoli pone al centro la persona nella sua totalità, corpo e spirito, fragilità e dignità. Un approccio che oggi trova nuova forza anche nella pratica clinica, in particolare nei percorsi dedicati alle persone con disturbi neurocognitivi.
Un esempio concreto arriva dal progetto sviluppato presso il Presidio Ospedaliero Riabilitativo Beata Vergine della Consolata, recentemente presentato al XVII Convegno dell’Istituto Superiore di Sanità, dedicato alla gestione integrata della demenza.
Continua a leggere per saperne di più.
La cura integrale mette al centro la persona nella sua totalità: corpo, mente, relazioni e dimensione spirituale. Quest’ultima, spesso trascurata, rappresenta invece un aspetto essenziale del benessere complessivo. Diversa dalla religiosità, che si esprime attraverso credenze e riti collettivi, la spiritualità è una ricerca interiore di senso, una spinta personale a comprendere il significato della vita, della malattia, della sofferenza e della morte.
Nell’ambito della sanità, questo approccio si traduce in un’attenzione nuova alla persona malata, anche quando la patologia coinvolge le funzioni cognitive. Non si tratta solo di curare i sintomi, ma di offrire un percorso di accompagnamento capace di sostenere anche il vissuto più intimo del paziente.
Nel modello del “dolore totale”, che comprende sofferenze fisiche, psicologiche, sociali e spirituali, quest’ultima è spesso la più profonda e difficile da esprimere. Tuttavia, è proprio attraverso la spiritualità che molti pazienti riescono a trovare un senso alla malattia, alimentando speranza, dignità e desiderio di vivere in modo pieno, anche nella fragilità.
Numerosi studi scientifici confermano che l’integrazione della spiritualità nei percorsi di cura può ridurre i sintomi depressivi, migliorare l’aderenza ai trattamenti e favorire stili di vita più sani. L’ascolto dei bisogni esistenziali, in un clima accogliente e non giudicante, migliora la qualità della vita e rafforza il senso di identità, anche in situazioni di fragilità cognitiva.
È proprio su questi principi che si fonda il progetto avviato dal Servizio di Attenzione Spirituale e Religiosa del Presidio Ospedaliero Riabilitativo Beata Vergine della Consolata, all’interno del Day Hospital Alzheimer. Il lavoro, selezionato tra numerosi studi per essere presentato all’Istituto Superiore di Sanità, è stato esposto nel poster scientifico intitolato: “La dimensione spirituale nella cura integrale della persona con Disturbo Neurocognitivo”.
Il progetto ha coinvolto 40 pazienti con diagnosi di disturbo neurocognitivo maggiore lieve/moderato, inseriti in un ciclo di 10 incontri di gruppo dedicati alla riflessione spirituale, integrati nel percorso riabilitativo cognitivo e motorio. Durante il percorso, i partecipanti hanno compilato strumenti validati come la Quality of Life in Alzheimer’s Disease Scale e il relativo modulo specifico su spiritualità, religiosità e credenze personali, oltre a un questionario ad hoc sul significato della vita.
I risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli di un gruppo di controllo, che ha seguito solo il percorso cognitivo-motorio. I dati emersi indicano un miglioramento significativo nella qualità della vita percepita da parte dei pazienti coinvolti nell’intervento spirituale, con punteggi più alti nelle scale utilizzate.
Questo dimostra che anche nei casi di deterioramento cognitivo, le emozioni e la dimensione spirituale restano vive e accessibili. Anzi, è proprio in questi contesti che un accompagnamento mirato può fare la differenza, generando benessere emotivo e rafforzando l’identità personale.
Per questo, il progetto auspica che in futuro la ricerca spirituale possa essere integrata anche nei percorsi per pazienti in fase avanzata di malattia, andando oltre la sola riattivazione cognitiva e motorio-funzionale, per restituire alla persona – fino all’ultimo – la possibilità di sentirsi viva, pensata, accompagnata.
L’approccio integrato alla demenza e ai disturbi neurocognitivi rappresenta una sfida importante per il mondo sanitario. Inserire la spiritualità come risorsa terapeutica non significa sostituirsi alle cure mediche, ma affiancare la medicina con un ascolto profondo e rispettoso dell’interiorità della persona.
Come ricorda il team del progetto, “dare speranza nella possibilità di vivere bene la propria malattia” dovrebbe diventare una priorità per ogni professionista della salute, soprattutto quando si lavora con le persone più fragili.
Articolo tratto dalla rivista Fatebenefratelli, edizione gennaio - marzo 2025
🔔 Vuoi restare aggiornato su iniziative come questa, nuovi percorsi formativi e contenuti dedicati alla cura della persona? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutte le novità dal mondo Fatebenefratelli direttamente nella tua casella di posta.