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Giornata Mondiale della Salute Mentale: trasformare la consapevolezza in azione | Prima sessione

Il 23 ottobre, presso il Centro Paolo VI di Brescia, oltre 200 tra medici, ricercatori e professionisti della salute mentale si sono riuniti per riflettere su un tema che riguarda tutti: come trasformare la consapevolezza in azione. La giornata, organizzata dall’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, ha dato voce a esperti provenienti da tutta Italia che, da prospettive diverse, hanno indicato un’unica direzione: una salute mentale intesa come bene comune, fondata su scienza, fiducia e umanità.

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«La salute mentale è un diritto da difendere ogni giorno»

Ad aprire i lavori, il Direttore dell’IRCCS Renzo Baldo, che ha ricordato come oggi “più di un miliardo di persone nel mondo soffre di disturbi mentali”, un dato che interroga l’intera società.

La salute mentale, ha sottolineato, non riguarda solo la cura dei sintomi, ma la qualità della vita, le relazioni, il lavoro, il benessere complessivo della persona”.

Baldo ha descritto un contesto in rapido mutamento, in cui i fattori di rischio si moltiplicano: “Viviamo un’evoluzione profonda delle fragilità, dalle nuove dipendenze all’isolamento relazionale, fino agli effetti dei social media e del gioco patologico.”

Di fronte a questi cambiamenti, serve una “riorganizzazione dei modelli assistenziali” capace di rispondere al presente e non solo di ripetere schemi del passato.

Nel suo intervento ha ribadito la visione di sistema che anima l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio: una rete che mette la persona al centro, nella convinzione che la salute mentale sia “un diritto costituzionale, e quindi un dovere collettivo da tutelare ogni giorno, insieme”.

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«Dalla consapevolezza all’azione: unire filosofia e ricerca»

La Direttrice Scientifica dell’IRCCS, Roberta Ghidoni, ha introdotto la giornata con una riflessione che è diventata il filo rosso dei lavori: “La consapevolezza è ciò che rende possibile la conoscenza oggettiva, ma la sfida di oggi è tradurla in azione, in percorsi concreti di prevenzione e cura.”

Riprendendo il pensiero kantiano, Ghidoni ha intrecciato filosofia e ricerca, sottolineando che la salute mentale non può essere considerata solo un tema clinico, ma un’esperienza umana che attraversa tutte le fasi della vita: “Dalla salute perinatale fino alla senescenza, ogni momento dell’esistenza chiede attenzione, ascolto e cura”.

Ha poi richiamato la recente approvazione del Piano d’Azione Nazionale per la Salute Mentale, definendola “una svolta attesa da tredici anni, un passo necessario per legare i servizi e restituire risposte più tempestive e omogenee alle persone”.

Un atto, ha aggiunto, che dà sostanza al messaggio centrale dell’evento: “trasformare la consapevolezza in azione” significa connettere pensiero e pratica, conoscenza e responsabilità.

 

One Mental Health: scienza, fiducia e cura

La lectio magistralis del Prof. Alberto Siracusano, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e Professore Emerito di Psichiatria all’Università di Roma Tor Vergata, ha intrecciato scienza, filosofia e antropologia per riflettere su cosa significhi oggi prendersi cura della mente.

Ha ricordato che, per la prima volta, il nuovo Piano d’Azione Nazionale sulla Salute Mentale prevede risorse strutturali per assunzioni a tempo indeterminato nel settore, segnale di un riconoscimento concreto della salute mentale come priorità pubblica.

Entrando nel cuore della sua lezione, Siracusano ha descritto l’epoca contemporanea come una stagione di “fragilità epistemica”, segnata da sfiducia e disinformazione. Ha citato esempi di “paranoia sociale”, dalle fake news sui vaccini alle teorie infondate sui farmaci di uso comune, per mostrare come la perdita di fiducia nella scienza si traduca in una crisi culturale profonda. «Non basta produrre conoscenza» — ha osservato — «serve ricostruire fiducia, e questo è forse il compito più difficile per chi si occupa di salute mentale oggi».

Da qui, il richiamo al paradigma One Mental Health, che unisce biologia, psicologia, società e ambiente, superando la frammentazione dei saperi.

Ha poi introdotto il concetto di salutogenesi, spostando l’attenzione su ciò che promuove la salute: la coerenza, le risorse personali, le relazioni. La “povertà vitale”, ha spiegato, è la perdita di senso e di legami che caratterizza molte fragilità contemporanee: solitudine, disuguaglianza, spaesamento.

Riflettendo sulla dimensione antropologica della cura, ha ricordato che, secondo Heidegger, «la cura è una struttura fondamentale dell’essere umano». Curare, quindi, non è solo un atto tecnico, ma un modo di stare nel mondo, un gesto di fiducia e di restituzione di senso.

Con un finale “leggero” ma simbolico, ha raccontato la storia di “Casper”, un’intelligenza artificiale immaginaria che desidera imparare ad amare: un paradosso per ricordare che, anche nell’era tecnologica, la cura resta un atto profondamente umano.

 

Le conseguenze psicosociali della guerra

Il Dott. Giovanni de Girolamo, Responsabile dell’Unità di Psichiatria Epidemiologica e Digitale dell’IRCCS, ha affrontato il tema drammatico delle guerre contemporanee e dei loro effetti psicologici.

Oggi nel mondo — ha ricordato — sono attivi sessantuno conflitti, il numero più alto dal 1946,” e più di 300 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria.

La guerra — ha detto — non è più combattuta tra eserciti, ma contro i civili. Le case, le scuole, gli ospedali diventano bersagli: i bambini crescono in ambienti dove la paura è la norma.

Ha citato studi internazionali che mostrano come una persona su quattro sviluppi un disturbo psichiatrico dopo un’esposizione diretta o indiretta a un conflitto.

Con taglio scientifico ma umano, ha presentato ricerche che documentano persino alterazioni epigenetiche in bambini siriani rifugiati, “segno che il trauma si imprime anche nella biologia”.

Ha concluso con un richiamo etico: “Basterebbe una minima parte della spesa militare mondiale per garantire acqua, istruzione e salute mentale alle popolazioni più fragili. La guerra sottrae risorse alla pace, e la pace è la prima medicina”.

 

Educare alla fiducia, coltivare la speranza

Il Prof. Stefano Vicari, Ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università Cattolica di Roma e Direttore dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù, ha riportato il discorso sull’età evolutiva, definendo la salute mentale dei più giovani “una priorità educativa e sociale, troppo spesso rimossa”.

Ha ricordato che quasi un adolescente su cinque in Europa presenta un disturbo mentale e che “tra i 10 e i 25 anni il suicidio è la seconda causa di morte”. Molti disturbi, ha spiegato, “esordiscono in età evolutiva e si trascinano fino all’età adulta, ma i servizi per i minori restano ancora marginali rispetto a quelli per gli adulti.”

Vicari ha criticato la creazione di reparti “14–25 anni” e il ricovero di minori negli SPDC per adulti, definendoli “soluzioni improprie, che non tengono conto delle diverse esigenze evolutive".

Ha proposto invece un sistema fondato sulla continuità del ciclo di vita, sulla prevenzione precoce e su reti territoriali integrate: famiglia, scuola e servizi devono funzionare come “un unico ecosistema di protezione”.

Non esiste prevenzione efficace senza alleanza educativa, ha detto, invitando a un patto tra chi educa, chi cura e chi accompagna.

Ha chiuso richiamando le parole di Papa Francesco: “Siamo chiamati a costruire un’alleanza del domaniun’alleanza di fiducia, capace di restituire speranza alle nuove generazioni”.

 

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Violenza nelle relazioni intime: riconoscere, comprendere, prevenire

La Dott.ssa Erica Pugliese, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e ricercatrice presso l’Università di Amsterdam, ha parlato della violenza nelle relazioni intime come di una vera e propria emergenza sanitaria globale.

Un fenomeno che attraversa paesi e culture, e che non si esaurisce nel danno fisico ma lascia ferite psicologiche e biologiche profonde, spesso trasmesse da una generazione all’altra.

Ha ricordato che le dinamiche di abuso si intrecciano con fattori economici, sociali e culturali, e che la prevenzione richiede «un approccio integrato e multidimensionale».

Il suo intervento ha evidenziato come le vittime restino spesso intrappolate in relazioni violente non solo per paura, ma per meccanismi complessi di dipendenza affettiva e isolamento. «Il nostro compito — ha sottolineato — è capire questi legami patologici per poterli curare, non giudicare.»

Ha infine ribadito la necessità di interventi coordinati tra psicologia, giustizia e servizi sociali, e di un accompagnamento psicologico stabile dopo la denuncia. «Ogni donna che trova il coraggio di chiedere aiuto compie un atto di fiducia. Il sistema deve essere in grado di accoglierla».

 

One Perinatal Mental Health: la salute mentale inizia prima della nascita

La Prof.ssa Cinzia Niolu, Ordinario di Psichiatria all’Università di Roma Tor Vergata e Direttrice della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia “Forma Mentis”, ha anticipato il proprio intervento previsto per il pomeriggio per parlare di salute mentale perinatale.

Ha descritto la maternità come una fase di vulnerabilità e di potenzialità insieme, in cui la salute psicologica della madre e quella del bambino sono strettamente intrecciate.

Ha richiamato il modello delle Mother–Baby Units, che consentono di curare la madre senza separarla dal neonato, spiegando che la separazione precoce può rappresentare essa stessa un trauma.

Niolu ha sottolineato la necessità di reti territoriali e multidisciplinari che includano ginecologi, ostetriche, psicologi, pediatri e assistenti sociali, per offrire continuità di presa in carico e prevenire depressione e ansia perinatali, spesso sottovalutate.

«Prendersi cura della salute mentale — ha concluso — inizia prima della nascita. È in quel tempo sospeso, tra attesa e vita, che si costruisce la fiducia nel mondo».

 

La conclusione della prima sessione

Dalla filosofia di Kant alla salute perinatale, dalla psichiatria di guerra ai traumi invisibili della violenza domestica, la mattinata al Centro Paolo VI ha intrecciato linguaggi diversi ma un unico orizzonte: la salute mentale come diritto, responsabilità e incontro.

Nelle parole conclusive di Roberta Ghidoni si è sintetizzato il senso della mattinata.

«La connessione tra filosofia e scienza, per me, è un cardine. Credo che la filosofia debba guidare la ricerca e la cura: solo così possiamo tenere davvero l’uomo al centro. Diversamente, rischiamo di cadere in un tecnicismo che non porta lontano. Con la riflessione filosofica, anche i percorsi di cura possono essere orientati, non solo quelli di comprensione scientifica e molecolare, ma quelli che riguardano l’essere umano nella sua interezza»

Un pensiero che ha riannodato tutti i fili della giornata — la scienza, la fiducia, la cura — riportandoli alla loro radice più profonda: l’attenzione all’uomo e alla sua dignità.

 

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