Menu

L'accoglienza ospitante nei Testi Sacri: le analisi di Fra Lapić

La riflessione di Fra Gian Carlo Lapić si pone di fronte al fenomeno dell’Ospitalità con il tentativo di dare un’intelligenza approfondita della sua realtà complessiva per precisare meglio la categoria dell’ospitalità come un tratto peculiare dell’umano che trova il suo compimento nella Fede cristiana. Questa sola è capace di delineare i compiti per una consapevole e libera responsabilità informata dal Vangelo di Gesù di Nazareth, con lo scopo per vivere l’accoglienza ospitale in luce positiva in un’epoca di cambiamenti strutturali dell’attuale convivenza umana.

L'accoglienza ospitale, ieri e oggi

Nelle società postmoderne l’orizzonte di senso spesso era nutrito dalla speranza di uno sviluppo sociale progressivo e inarrestabile; ora esso si imbatte improvvisamente nella condizione esistenziale precaria che colpisce una massa sempre più crescente della popolazione, per una varietà di cause, come un tratto qualificante del momento storico che stiamo attraversando e suscita nuove domande a cui occorre rispondere.

La sfida dell’Ospitalità certamente può dischiudere un’inedita opportunità all’umano per la sua piena realizzazione proprio nell’orizzonte del senso della sua identità, come sua parte costituiva e come ciò che lo qualifica come tale nella sua responsabilità.

La Fede ci dice che l’Ospitalità, come una dimensione esistenziale dell’umano, trova la sua ultima ragione in Dio ospitale, che accoglie tutti indistintamente. La parola che continua a risuonare nelle parabole evangeliche è ‘chiunque, per dire la totale inclusività con la quale il messaggio evangelico si presenta al mondo e svela il volto del Dio di Gesù Cristo. L’attuale sforzo di riflettere attorno al tema dell’Ospitalità verte principalmente sulla figura dello straniero e della sua accoglienza.

La Sacra Scrittura allarga di molto questo orizzonte e lo pone come una relazione interpersonale in ogni ambito del vivere umano, da quello dei legami affettivi più intimi fino a quelli di una radicale estraneità.

Questo sbilanciamento della riflessione sul tema dell’accoglienza ospitale attorno ad una figura specifica, come quella dello straniero, è dato certamente dalle urgenze dell’attuale momento storico-culturale ma anche dal fatto che, in sintesi, racchiude in sé tutta la fenomenicità dell’accoglienza dell’alterità.

Il tema dell’accoglienza ospitale viene posto in rilievo come una delle virtù umane fondamentali, nel tentativo di delineare la forma compiuta di questa umanità e nel dire a noi oggi che cosa significa essere ospitali verso colui che si presenta nell’orizzonte della nostra esistenza, per superare la tentazione di una chiusura che ci porterebbe alle derive contro l’umano.

 

L'importanza di diffondere un'accoglienza ospitale oggi

Oggi si inizia a parlare dei crimini contro l’ospitalità.

A che punto è oggi l’accoglienza ospitale della quale ci attesta la Sacra Scrittura come forma della nostra responsabilità e per la quale ci verrà chiesto il conto? Come viviamo il compito che fa appello alla nostra libertà di accogliere colui che si trova nel bisogno?

Certamente nel mondo industrializzato l’Ospitalità non appartiene più alla viva coscienza di un costume civile ormai radicalmente cambiato, ma ciò non vuol dire che l’appello della Sacra Scrittura non sia più attuale, anzi!

L’accoglienza ospitale oggi è diventata un valore umano moralmente sempre più urgente. Informare la coscienza credente sul valore dell’Ospitalità è di primaria importanza tra i compiti ecclesiali nell’attuale contesto storico-culturale.

Possiamo affermare che questo rientra in quel quadro che il Concilio Vaticano II definisce come discernimento dei ‘segni dei tempi’. La Chiesa, come esperta in umanità, possiede una lunghissima storia di prassi ospitante, sorta come risposta della fede alle sfide dell’esistenza umana. La presenza salvante di Cristo è la chiave ermeneutica dell’agire ospitale come un bene morale, che si traduce nel comandamento dell’amore del Prossimo e acquisisce il suo senso pieno soltanto a partire dalla persona di Gesù.

Quando la coscienza credente si trova di fronte al dilemma «accogliere o no» uno senza fissa dimora, una persona fragile e bisognosa, ecc. (che sono soltanto alcuni degli aspetti dell’accoglienza ospitale), il giudizio morale cerca prima dell’assenso, la verità e il bene della cosa, cioè quale sarebbe l’intenzione originaria Dio.

 

L'accoglienza ospitale nel primo testamento

Il fenomeno dell’Ospitalità biblica, come fenomeno antropologico originario è attestato diffusamente negli scritti del Primo Testamento. Il racconto biblico ci narra dell’accoglienza ospitale del prossimo come di una prassi ben consolidata all’interno di un ethos che lo teneva in alta considerazione.

Gli episodi anticotestamentari che ci attestano il fenomeno dell’ospitalità si riferiscono principalmente alla figura dello straniero, includendo in questo ambito altre figure vulnerabili e bisognose di accoglienza ospitale.

Tutti i generi letterari del Primo Testamento in qualche maniera in sé contengono la geografia semantica della relazione ospitale, dove si manifesta come una realtà dell’umano in immediato rapporto con la fede, cioè nella sua dimensione teologale, come qualche cosa che nasce e si struttura in rapporto ad un Dio che si svela come un Dio ospitale, e si identifica con tutti coloro la cui fragilità umana richiede una forma di agire capace di manifestare la sua sorprendente prossimità nella forma di cura.

Gli scritti anticotestamentari ci svelano un Dio che ama e accoglie tutti gli uomini in modo incondizionato, perché è un Dio compassionevole che ha pietà del debole, sia esso una sua creatura (creazione), sia esso appartenente al suo popolo dell’alleanza (rivelazione).

 

accoglienza ospitale

Le forme di vita sociale e la stessa sensibilità culturale, già molto differenti tra di loro, che ci vengono attestate certamente differiscono molto dal nostro modo di cogliere il senso e l’intenzionalità dell’accoglienza ospitale.

I testi portano in evidenza dei paradigmi dell’accoglienza dell’umano nella sua forma primordiale che era trasversale ad altre culture circostanti, e tutte appartenenti ad un medesimo milieu originario del contesto mediterraneo molto più ampio rispetto a quello del popolo eletto.

La Sacra Scrittura prospetta una prassi di Ospitalità che è in grado di cambiare le forme di ostilità in una forma di convivenza, dove l’ospite/l’altro che arriva inatteso diventa il segno della possibilità di passare dalla paura diffidente all’ospitalità accogliente.

Per l’autore biblico essere ospitali diventa un appello/comandamento costante alla responsabilità dell’israelita credente. La figura dello straniero e della sua accoglienza viene posta davanti a noi come una figura paradigmatica, per cogliere il senso profondo dell’accoglienza ospitale secondo l’originaria intenzionalità di Dio dove l’uomo, ospite di Dio, è invitato all’ospitalità responsabile per adempiere la legge e la giustizia di Dio; l’esercizio della virtù anticotestamentaria si prospetta sempre come adempimento della giustizia di Dio.

L’autore antico testamentario nel suo racconto mette sempre in relazione l’ospitalità tra colui che si presenta alla porta e chiede l’accoglienza con la realtà del mistero di Dio. Nel raccontare la figura dello straniero la tradizione biblica evidenzia un altro aspetto esistenziale dell’uomo, cioè il suo essere ospite sulla terra, che gli è stata data in dono come una condizione antropologica originaria in quanto non possiede nulla di sicuro e di duraturo al di fuori di questo legame con Dio ospitale.

Ora riassumiamo in una breve sintesi il campo semantico dei termini relativi alla figura dello straniero intorno al quale verte la questione dell’accoglienza ospitale anticotestamentaria.

Il Primo Testamento non possiede un termine specifico per esprimere il concetto dell’Ospitalità: la descrive con una serie di gesti che strutturano la relazione ospitale. La complessità dell’esperienza storica ha contribuito affinché Israele sviluppasse una concezione articolata del fenomeno della figura dello straniero, poi codificata ed espressa da un vocabolario specifico.

Come abbiamo già sottolineato, nei diversi testi ricorrono almeno tre termini fondamentali della lingua ebraica per indicare la figura dello straniero/forestiero. In essi si può leggere qualcosa dell’esperienza storica di Israele come un popolo che ha sperimentato diverse volte che cosa vuol dire essere stranieri, abitare una terra da forestieri.

 

L'Ospitalità neotestamentaria

L’ospitalità neotestamentaria è un fenomeno biblico che si manifesta in molteplici forme. Il vocabolario neotestamentario dell’accoglienza ospitale è in piena continuità con la terminologia anticotestamentaria e presenta tutta la ricchezza antropologica e teologica di questa realtà umana che trova il suo compimento nella fede cristiana.

Il Nuovo Testamento sostanzialmente riprende tutta l’eredità anticotestamentaria del fenomeno biblico dell’accoglienza ospitale. Anche esso conosce delle oscillazioni tra un’apertura all’accoglienza incondizionata fino alle forme più ristrette ed esclusive, destinate ai soli fratelli nella fede.

La tradizione sinottica rappresenta il punto più avanzato della comprensione dell’agire ospitale in chiave cristologica, di un’accoglienza ospitale inclusiva verso chiunque, come rivelazione dell’originaria intenzione di Dio. A differenza del Primo Testamento, la tradizione neotestamentaria riflette meno attorno alla figura dello straniero come tale e della sua accoglienza e colloca l’Ospitalità su un piano universale come forma della cura verso il prossimo bisognoso, facendo appello alla responsabilità della coscienza del singolo.

Accogliere lo straniero è accogliere Gesù stesso, rifiutargli l’accoglienza è rifiutare l’accoglienza a Gesù. Questa prossimità assume sempre la forma di un sorprendente accadere, per dire che essa è destinata a chiunque appartiene all’umano che Dio ha creato a sua immagine.

Come il Primo Testamento ha sempre legato la presenza divina alla presenza dello straniero all’apparire dell’ospite sconosciuto, così il Nuovo Testamento, nell’istituire il rapporto ospite-ospitante, struttura questa relazione con la costitutiva presenza di Dio, di Gesù e dell’umanità.

Gesù, facendosi prossimo a tutti, annuncia un’accoglienza incondizionata, riassunta nella parabola del Buon Samaritano. La differenza della fede, dell’etnia, del costume non sono ostacolo per l’accoglienza ospitale. Essa è condizionata unicamente dalla prossimità. La parabola supera il concetto dell’alleanza e della legge mosaica come principale condizione di prossimità. Gesù va oltre queste categorie e, come unica condizione di prossimità, pone le esigenze della vita: si identifica con il volto del piccolo che viene accolto, accordandogli la sua identità.

L’accoglienza ospitale di Gesù ha un suo passo ulteriore come modello dell’agape che accoglie nella sua comunione tutti i credenti, pur essendo peccatori. Una serie dei racconti neotestamentari delle ospitalità scandalose ci attestano che la tavola ospitale di Gesù, condivisa con i peccatori, diventa il luogo della conversione morale.

Essa pone in evidenza quanto sia decisivo l’agire ospitale, in ordine all’annuncio della Buona Novella proclamata da Gesù, e ad una corretta comprensione dell’intenzionalità originaria di Dio nei confronti della salvezza uomo.

L’accoglienza ospitale nel Nuovo Testamento viene espressa come una relazione interpersonale sia in linea verticale che in linea orizzontale. Essa è fondamentalmente compresa come una apertura e disponibilità interiore dell’uomo ad accogliere/ospitare l’altro. Dai testi che abbiamo preso in esame è evidente che l’accoglienza biblica neotestamentaria come tema teologico è una realtà relazionale complessa. Troviamo la sua articolazione nelle relazioni tra Dio e uomo, dove la rivelazione cristologica la porta al suo compimento come accoglienza ospitale incondizionata, che Gesù attesta nelle sue relazioni con i pubblicani e i peccatori.

Dio, mosso da compassione profonda, accoglie l’uomo. Questa scandalosa accoglienza ospitale dei peccatori rivela quella più profonda comunione di Gesù con queste persone, in attesa che qualcuno mostri loro un gesto di accoglienza. Nei gesti e nelle parole, Gesù manifesta l’accoglienza incondizionata del Padre che vuole che ogni uomo partecipi alla sua comunione eterna.

 

Vuoi saperne di più sull'Ordine Ospedaliero Fatebenefratelli?

RICEVI LA CARTA DI IDENTITÀ DELL'ORDINE

Ci dedichiamo per missione ai malati e ai bisognosi coniugando l’attenzione al corpo e allo spirito nel rispetto della persona e della sua individualità.
Attraverso la promozione delle opere portiamo il Vangelo nel mondo della sofferenza e del dolore affiancando il paziente come professionisti della salute.

Guida all'alzheimer
Regolazione delle emozioni
Essere Fatebenefratello
New call-to-action

Potrebbero interessarti anche