"Sono proprio gli anziani – in particolare quelli più fragili – che incontrandoli quotidianamente continuano a darmi la forza per superare le fatiche e ritrovare le motivazioni, riconducendole sempre al fare bene per il bene dei più deboli": queste le parole del Dott. Fausto Turci, Direttore della Residenza Sanitaria Assistenziale San Carlo Borromeo.
In occasione della Giornata Internazionale delle Persone Anziane, il Direttore ci ha parlato del significato di prendersi cura di chi è in una condizione di particolare vulnerabilità, spiegando il ruolo svolto dalle RSA oggi, specie alla luce della pandemia in atto.
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È un onore poter dirigere un’importante Struttura, come la Residenza Sanitaria Assistenziale San Carlo Borromeo, e che sento di essere un privilegiato: questo perché posso svolgere un lavoro in cui credo fortemente e che desidero fare con passione.
Ma non è sempre così semplice: coniugare gli aspetti legislativi ed economici con quelli valoriali – soprattutto in un Ente come la Provincia Lombardo Veneta Fatebenefratelli che li pone come fondanti rispetto al Carisma del nostro Fondatore – è una sfida molto complessa.
Prima di tutto dal punto di vista personale perché, anche se si è assolutamente in buona fede, esserne sempre coerenti non è scontato ed a volte è facile cadere in scelte più comode. Specialmente pensando alle persone che mi sono affidate, il grande senso di responsabilità obbliga ad un costante lavoro di valutazione, confronto, cura e messa in discussione che richiede sempre un significativo impegno di energie.
Tuttavia, sono proprio loro, gli anziani – in particolare quelli più fragili – che incontrandoli quotidianamente continuano a darmi la forza per superare le fatiche e ritrovare le motivazioni, riconducendole sempre al fare bene per il bene dei più deboli.
Di recente le RSA sono state messe significativamente in discussione dopo i tristi eventi legati alle prime fasi della pandemia. Solo chi ha avuto occasione di viverlo dall’interno ha potuto constatare come invece ogni operatore ha agito con grande responsabilità, ancora maggiore determinazione e vera e propria abnegazione per curare gli Ospiti e sostanzialmente per salvare loro la vita.
Dopo questo periodo le RSA dovranno necessariamente porsi domande sul futuro: gli anziani che accogliamo sono sempre più compromessi sia fisicamente che cognitivamente ed i progetti e le procedure che erano le migliori fino a poco tempo fa ora non permettono più una coerente assistenza rispetto gli attuali bisogni.
È assolutamente necessario rivedere molto della nostra organizzazione, spingendo più verso una filiera di servizi, verso una differenziata specificità ed una personalizzazione sempre più puntuale di assistenza.
Le famiglie non sostengono più la coesistenza della non autosufficienza con le esigenze della società odierna: certamente non sarà possibile eliminare gli oltre 285.000 posti letto offerti dalle RSA in Italia, ma seppur riviste in parte queste realtà continueranno a fare parte dell’offerta sociosanitaria nazionale.
Già prima della pandemia e in maniera ancora più consistente dopo, non è più possibile prendere in carico un Ospite della RSA, senza prendere in carico anche i familiari. Mi sento di dire che spesso sono i cari coloro che hanno maggiormente bisogno di aiuto e sostegno.
Nella nostra Residenza cerchiamo di prestare attenzione a questo aspetto costantemente: ogni venerdì inviamo una comunicazione per condividere questioni di interesse per i familiari. Durante la pandemia è stato uno strumento vincente, che li ha resi costantemente informati su tutti gli eventi della Struttura, relativi alle azioni che mettevamo in atto e anche ai dati di contagi e di possibili deceduti, che fortunatamente sono stati pochi.
La trasparenza e l’alleanza nella cura sono elementi illuminanti per una corretta relazione che guardi con determinazione al bene dei nostri Ospiti. Quando poi è stato possibile riaprire per le visite, non abbiamo esitato a trovare soluzioni che permettessero la maggior affluenza possibile, il maggior contatto possibile e la ripresa di relazioni indispensabili nel nostro ambiente.
È ormai da mesi che i familiari hanno ripreso a rientrare in Struttura, seppur con regole precise utili alla tutela di tutti. Ogni settimana vengono effettuate oltre 500 visite: è vero, ci assumiamo dei rischi, ma vedere la gioia de gli Ospiti e dei loro cari, che possono relazionarsi serenamente, supera ogni pensiero e preoccupazione.
È un romanzo che racconta la vita di una donna che, come dice il titolo, “La chiamavano Regina”: è ancora in fase di scrittura ed ho la speranza di poterlo prima o poi pubblicare.
Non ha pretese letterarie, ma semplicemente l’intento di raccontare come nelle RSA esista e possa essere possibile per gli Ospiti una vita dignitosa, come possano instaurarsi relazioni incredibili e spesso piene di amore e come venga agita dedizione e donazione da parte della grande maggioranza del personale che ci lavora e dove gli Ospiti possono trovare, accanto alle immancabili sofferenze, anche tanti motivi per essere sereni, sentendosi comunque persone accolte, curate e che spesso diventano come di famiglia.
Inoltre, vorrei cercare di esprimere la mia gratitudine a tutti gli operatori, soprattutto quelli che si occupano di assistere direttamente gli Ospiti, che ho incontrato nelle varie Strutture e con cui sto lavorando oggi a Solbiate: è solo grazie al singolo contributo individuale che il complesso organizzativo può funzionare e ritengo che questi professionisti che lavorano nelle RSA, spesso poco considerati, debbano invece ricevere segnali di grande riconoscenza.
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