L’anoressia è una malattia che colpisce uomini e donne di tutto il mondo e che sta diventando sempre di più un’emergenza sociale. Rinascere, però, è possibile: ne abbiamo parlato con il primario dell’area psichiatrica del Centro Sant’Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio (MI), Paolo Cozzaglio, che a La Casa di Bianca diagnostica e cura i disturbi del comportamento alimentare.
Per saperne di più su questa patologia consigliamo la lettura dell'articolo Anoressia: un’emergenza “social”.
L’organizzazione delle cure riabilitative per i disturbi dell’alimentazione in comunità terapeutica permette di offrire programmi intensivi di psicoterapia individuale e di gruppo, tecniche mirate all’alimentazione e alla progressiva esposizione alla varietà di cibo (sia in comunità sia all’esterno), tecniche di gestione dell’ansia e dei pensieri ossessivi, attività riabilitative espressive e ri-socializzanti.
Le tecniche usate nella riabilitazione, così come nella psicoterapia, sono multidisciplinari. Si parla di tecniche cognitivo-comportamentali, psico-dinamiche psicoanalitiche, della riabilitazione psicosociale, sistemiche, nutrizionali. Ciascuna di esse viene proposta considerando gli studi di efficacia e l’esperienza dei membri dell’équipe terapeutica. Questo non deve far pensare a un pot-pourri eclettico. Nel nostro caso, l’eclettismo è sostituito dalla multi-disciplinarietà e dalla multi-professionalità.
La scuola psicoanalitica individua nella comunità terapeutica il “luogo materno sicuro”, il focolare che può fornire al paziente un’esperienza riparatoria dei fattori patogenetici alla base della destrutturazione della personalità. Il modello terapeutico della comunità è da tempo ampiamente applicato in psichiatria perché consente tre cose:
Questi plus valgono anche nel caso dei disturbi alimentari, che richiedono ovviamente che il trattamento sia psicologico e nutrizionale congiunto.
La provenienza dei pazienti che accedono a una valutazione per l’ingresso in comunità è diversa:
La richiesta di ricovero in comunità per questi disturbi proviene anche da servizi psichiatrici pubblici, reparti ospedalieri di psichiatria o medicina, medici di medicina generale, o autonomamente dagli stessi pazienti o dalle loro famiglie.
Il paziente ha già effettuato un trattamento ambulatoriale? Sarebbe in grado di sostenerlo? Il disturbo costituisce il quadro clinico primario o è l’epifenomeno sintomatico di un’altra patologia psichiatrica grave (psicosi, depressione maggiore acuta o sub-acuta)? Alcune domande possono sembrare ovvie e scontate eppure non lo sono affatto.
Nella nostra comunità la prima visita viene effettuata in modo congiunto da uno psichiatra e da un medico nutrizionista che si confrontano tra loro. Sono coinvolti (almeno telefonicamente) anche gli invianti, e si cerca di comprendere e sostenere la motivazione del paziente al ricovero o di prendere in considerazione piani di cura alternativa. La disponibilità di un centro diurno è una grande ricchezza. A volte si incontrano pazienti in condizioni gravi che tuttavia sono profondamente spaventati dal ricovero residenziale. In questi casi può essere utile proporre, ove possibile, una frequenza iniziale in centro diurno per favorire la motivazione al ricovero successivo. In altri casi, quando le condizioni generali sono critiche e pericolose, è necessario far precedere il ricovero in comunità da un ricovero ospedaliero concordato e programmato in un reparto specialistico o di medicina generale.
I criteri di inclusione riguardano tutti i disturbi del comportamento alimentare, anche complicati da condotte collaterali (auto-lesività, dipendenze, pregressi tentati suicidi). Esistono però dei limiti che si esplicitano in precisi criteri di esclusione, quali:
Secondo alcuni dovrebbe durare dai 2 ai 6 mesi. Nella mia esperienza la durata del ricovero è personalizzata sul paziente e le sue esigenze. Una durata troppo breve rischia di agire unicamente sul sintomo e di predisporre a ricadute precoci. D’altra parte, una durata troppo lunga espone effettivamente il paziente a una dipendenza e rende difficile la dimissione. Penso che una durata minima di trattamento in una comunità a orientamento psico-dinamico debba essere di almeno 6 mesi, ma è bene porsi il problema della dimissione o dell’impasse del progetto terapeutico, anche nei casi gravi, quando la durata del ricovero supera i 18 mesi.
In conclusione, la casa di Bianca accoglie persone con disturbi alimentari che vogliono affrontare un percorso di guarigione assistito, seguite da esperti pronti a sostenerli nel loro cammino di rinascita.
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