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Africa nel cuore: l'origine delle opere missionarie dell'Ordine Fatebenefratelli

8 settembre 2020

L’Ordine Fatebenefratelli di San Giovanni di Dio non è mai venuto meno alla sua chiamata per sostenere con cura e assistenza i più bisognosi: radicata su valori secolari di solidarietà e fratellanza, la nostra Famiglia Religiosa ha dato vita ad una rete missionaria, che si è estesa nelle terre più lontane e abbandonate.

Ma da dove è nato il desiderio di incontrare e rimanere vicini alle genti africane e chi sono stati i fautori di queste opere missionarie? Scopriamolo insieme.

 

Ordine Fatebenefratelli: l’origine delle opere missionarie in Africa

Fra Luca Beato era un giovane religioso, postulante-studente del Ginnasio a Milano, quando ha visto consegnare nel 1954 il crocifisso ai primi missionari Fatebenefratelli in partenza per la Somalia, dove sono andati per gestire l’Ospedale statale di Chisimaio.

Qualche tempo dopo, nel 1959 il Padre Generale dell’Ordine dei Fatebenefratelli della Provincia Lombardo Veneta, fra Mosè Bonardi, fece subentrare un gruppo di religiosi Italiani, guidati da fra Eligio De Marchi, ai Confratelli della Provincia Austriaca nella gestione dell’Ospedale Holy Family Hospital di Nazaret, in Israele.

Il cambio si era reso necessario perché, dopo la Shoah degli Ebrei, la lingua tedesca era malvista dalla popolazione. Gli Italiani invece erano molto graditi e, soprattutto fra Eligio, perché all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma all’Isola Tiberina aveva salvato molti Ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento in Germania.

Nel 1960 per volontà dell’ONU anche le ultime Colonie acquistarono l’indipendenza. L’orgoglio nazionale all’indomani dell’indipendenza determinò in Somalia l’esonero dei Fatebenefratelli dalla gestione dell’Ospedale di Chisimaio. In previsione di questi avvenimenti i nostri Superiori Maggiori pensarono di aprire una Missione in un’altra zona dell’Africa.

 

La costruzione dell’Ospedale di Afagnan

Nel 1959 il Padre provinciale fra Mosè Bonardi, tramite il prete togolese Don Gérard Nyuiadzi, prese contatto con il Mons. Giuseppe Strebler, l’Arcivescovo di Lomé, capitale del Togo, per la fondazione di un dispensario e un piccolo ospedale.

Partirono in avanscoperta nel 1960 fra Pierluigi Marchesi e fra Onorio Tosini alla volta di Lomé per trattare con le autorità religiose e civili. Fu indicata come possibile zona di azione il territorio di Afagnan, un villaggio sperduto privo di qualsiasi assistenza sanitaria, vicino al confine con il Benin.

L’anno seguente partirono i primi due missionari fra Onorio Tosini e fra Aquilino Puppato: furono alloggiati dal capo del Villaggio di Afagnan nella sua abitazione, l’unica in muratura, mentre le altre erano tutte capanne di paglia e fango. Dieci giorni dopo aprirono un dispensario e cominciarono a curare i malati, che erano accorsi numerosi fin da primo mattino.

Ospedale di Afagnan

Diedero poi inizio al primo lotto di lavori della costruzione dell’Ospedale Saint Jean de Dieu tra mille difficoltà. Si pensi che i camion del materiale edilizio dovevano passare attraverso la brousse – una sorta di boscaglia - gli ultimi 10 km, perché non c’era ancora un abbozzo di strada. La prima pietra fu benedetta l’8 Marzo 1962 da Mons. Giuseppe Strebler, Arcivescovo di Lomé, alla presenza del Presidente della Repubblica Togolese Silvano Olympio.

I lavori di costruzione durarono due anni. Il 4 Luglio 1964 fu benedetta la cappella dal nuovo arcivescovo di Lomé Mons Robert Dosseh Anyron e il giorno dopo fu benedetto e inaugurato l’Ospedale. Erano presenti molte Autorità religiose e civili: il ministro della Sanità Dr. Valentin Vovor, il Padre Generale dell’Ordine dei Fatebenefratelli fra Igino Aparicio, il Padre Provinciale della Provincia Lombardo Veneta, fra Mosé Bonardi, alcuni Ministri dello Stato e alcuni Capi tradizionali di tribù del luogo e dei dintorni.

 

La successiva opera missionaria in Africa: l’Ospedale di Tanguiéta

Qualche anno dopo fra Mosè Bonardi, con sguardo lungimirante, decise di fare un ospedale anche nel Dahomey (ora Benin) e le autorità religiose e civili gli indicarono il Villaggio di Tanguiéta nel Nord del Paese: una zona poverissima, dove la popolazione fa fatica a sopravvivere, dato che per influsso del Sahara, la siccità dura otto mesi all’anno e la terra anche nella corta stagione delle piogge è piuttosto avara.

Il pioniere della costruzione di questo Ospedale, dedicato a S. Giovanni di Dio, Fondatore dei Fatebenefratelli, è stato fra Tommaso Zamborlin. Partì da Afagnan nel 1967, dove si trovava già da qualche tempo e insieme al Geom. Renato Canziani di Milano cominciò la costruzione dell’Ospedale su progetto dell’ing. arch. Fernando Michelini, analogo a quello di Afagnan. La posa della prima pietra avvenne il 14 Gennaio 1967 e l’inaugurazione il 29 Giugno 1970 alla presenza di fra Cesare Gnocchi e di tante Autorità religiose e civili.

Nell’ultimo decennio l’Ospedale è stato incaricato della medicina preventiva sul territorio con campagne di vaccinazioni contro tetano, poliomielite, morbillo e meningite. È, inoltre, diventato Ospedale di riferimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per quell’area dell’Africa.

 

Spirito umanitario: fra Luca Beato e i missionari dell’Ordine Fatebenefratelli

Di questi avvenimenti fra Luca Beato è stato quasi unicamente un ammirato spettatore, ma hanno fatto nascere in lui lo spirito missionario che l’hanno portato ad agire al momento opportuno. Incaricato di dirigere lo Scolasticato a Milano, conobbe tra i suoi allievi di allora fra Fiorenzo Priuli, che per le missioni era un vulcano di idee e di iniziative.

Diventato Consigliere provinciale, nel 1971 e 1972 fra Luca Beato ha visitato gli Ospedali africani per rendersi conto “de visu” dei problemi presenti e poter provvedere in modo mirato agli approvvigionamenti necessari per il buon funzionamento: medici, infermieri professionali, tecnici, ma anche medicinali, reagenti di laboratorio analisi, materiale sanitario ecc.

Allora, ha avuto modo di vedere all’opera nell’Ospedale ancora incompleto di Afagnan, fra Onorio Tosini come Padre Priore, verso il quale la popolazione aveva una grande stima e venerazione per cui lo chiamavano amegan, ovvero “Grande Capo”; in reparto fra Emanuele Zanaboni, in Farmacia fra Giustino Mariconti e fra Fiorenzo Priuli che faceva un po’ di tutto: sala operatoria, laboratorio analisi, radiologia e aveva inoltre una trentina di bambini con flebo e sondino naso-gastrico in una piccola dépendance dell’Ospedale degna di un pollaio, in attesa dell’apertura della Pediatria.

Ospedale di Tanguiéta

A Tanguiéta fra Luca ha visto il Padre Priore fra Tommaso Zamborlin, pieno di dinamismo: godeva la stima della popolazione per l’impegno straordinario dimostrato nella costruzione dell’Ospedale, per cui aveva rischiato anche la vita, quando il camion carico di materiale edilizio aveva rotto i freni sulle colline dell’Atakora ed era finito giù da una scarpata. Inoltre, era considerato un idolo dai ragazzi per le acrobazie che faceva con la moto. Non per nulla l’avevano ribattezzato: m’en foux la mort (“me n’infischio della morte”).

Fra Leonardo Laner, compagno di noviziato di fra Luca anche se più anziano e suo carissimo amico, faceva il factotum dell’Ospedale e fra Clemente Tempella, bravo infermiere professionale, gestiva il reparto. L’Ospedale, piccolo e incompleto, non lavorava ancora abbastanza: la gente del posto, legata alla cultura e alla Religione del Feticismo aveva ancora una grande diffidenza dell’ospedale dei bianchi e si affidava più volentieri allo stregone-guaritore.

A dire di fra Fiorenzo, la fiducia della gente verso l’Ospedale si è manifestata ampiamente soltanto dopo l’epidemia di morbillo del ‘78-‘79, quando sono morti in tempi rapidissimi 5.000 bambini e di questi, solo un quarto di quelli che i missionari erano riusciti a portare all’Ospedale si erano salvati. Ne è prova il fatto che fra Fiorenzo cercò subito degli aiuti per costruire una Pediatria molto capiente. La Provvidenza gli fece conoscere, tramite il Parroco di Meda, il Sig. Carlo Luigi Giorgetti: finanziò la costruzione della Pediatria per onorare la memoria del Figlio Paolo, di 16 anni, rapito e ucciso per estorsione.

 

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