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La Carità di Dio come fondamento dell’Accoglienza Ospitale Cristiana

Le Virtù Teologali sono la base fondante dell'agire morale del cristiano e irrogano le Virtù Morali vivificandole. Infuse da Dio nello Spirito dei Fedeli, li rende capaci di agire quali suoi Figli, meritando così la Vita Eterna. Fede, speranza e carità devono essere per noi guida del nostro quotidiano. Abbiamo intervistato Fra Gian Carlo Lapic per avere una visione Cristiana completa di questo Carisma. 

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La Carità come espressione dell'Agire Ospitale, l'analisi della rivelazione biblica

La carità/agápē si presenta come la principale Struttura Teologica fondante dell’Agire Ospitale, che diventa una delle sue mediazioni basilari nel quadro della rivelazione biblica. Ciò risulta evidente dall’analisi della dimensione teologale dell’Ospitalità. La Scrittura ci attesta che Dio si rivela come Carità1: è un suo tratto antecedente e fondante di ogni discorso morale2.

La Scrittura, inoltre, lo asserisce come un amore sorgivo, donante e gratuito di un Dio compassionevole3 che nel Figlio ha donato tutto4: rappresenta dunque la massima espressione del suo amore incondizionato verso l’umanità da lui accolta.

Questa Carità, che l’evento-Cristo ha portato al suo compimento, si articola sul doppio registro: nell’obbedienza al Padre5 e nella solidarietà con l’Uomo6.

La vita ‘in Cristo’ si attua nel comandamento dell’Amore7, che rende il Discepolo capace di un'accoglienza reciproca e incondizionata verso chiunque8. Il fondamento e la sorgente di questo Amore è l’amore reciproco che scaturisce da quella relazione tra Padre e Figlio nel vincolo dello Spirito. Una relazione che si manifesta come Carità donata e accolta, che è la persona dello Spirito Santo9.

 

Carità è l'unione di "io" e "tu" per creare un "noi" unificante


«Dio è Carità»10 : si è manifestato come Carità in Gesù di Nazareth ed è conoscibile solo nel suo essere, appunto Carità11. In Dio la realtà della relazione interpersonale assume la forma dell’agápēun’apertura tra un "io" verso un "tu", nel "noi" unificante12, un’accoglienza intra-trinitaria13 come donazione di sé14. L’Amore donativo del Padre viene accolto e corrisposto dal Figlio, che diventa «l’accoglienza riconoscente dell’Amore»15.

Lo Spirito Santo, è un Amore interpersonale del Padre e del Figlio16, un Amore che esiste come "un donarsi": il dono che unifica le alterità delle tre persone della Trinità in una comunione dialogante. È un comunicare nella reciproca accoglienza che però non altera la personale identità, la differenza di ciascuno, ma diventa il presupposto della comunione dialogante per l’alterità, perché solo le differenze dialogano e comunicano.

La qualità di questa relazione delle differenze si dà come un amore/carità, che tende alla comunione dell’altro nell’atto di reciproca Ospitalità. La relazione è ciò che fa la differenza: relazione da Padre, relazione da Figlio e relazione da Spirito nello stesso tempo. A partire proprio da questa alterità, che è ciò che dispone alla reciproca accoglienza: senza una relazione non si dà l’Ospitalità17.

 

carità virtù teologale

 

La rilevazione della Carità e l'accoglienza divina


Partendo dalla Rivelazione in cui Dio stesso si manifesta come Carità si istituisce il fondamento originario che diventa il Principio e la fonte che suscita l’agire agapico cristiano.

La Scrittura lo suggella con il definitivo "Sì" di Dio all’uomo che «ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio unigenito»18. Dio accoglie l’umanità nel Figlio e rende visibile la sua Ospitalità incondizionata come espressione di questa agape: un amore accogliente che viene attestato da tutta la vicenda storica di Gesù di Nazareth19, un Amore assolutamente gratuito20 che si fa Dono21 e che il suo compimento definitivo accade nella morte di croce accettata liberamente22.

La carità di Cristo, un Amore donato, diventa la spinta per agire nella direzione di annuncio di questa salvezza compiuta da Dio, perché l’uomo viva e sia liberato dal male23.

L’agápē trinitaria diventa la fonte della nostra Carità, la forza operante che configura il nostro Essere rendendolo conforme alla Carità di Cristo, alla forma della sua esistenza, dove la Carità del credente (reso conforme/synmorphos)24 diventa la Carità di Cristo come nuova legge iscritta nel suo cuore25 ,che muove la libertà del cristiano confermato da Cristo nel Battesimo. La carità rimane il frutto dello Spirito26, grazia che sta a fondamento dell’etica dell’agápē27, che configura il modo di essere e di agire del Cristiano.

 

La radice trinitaria dell'agápē


La radice trinitaria dell’agápē è principio della Carità morale che spinge ad amare il Prossimo istituendo quella relazione di Dio con tutti i suoi Figli28. Il comandamento dell’amore del Prossimo29, la carità vicendevole, pone in evidenza l’imprescindibilità della dimensione teologale dell’Amore del Prossimo e diventa il luogo dell’inveramento dell’Amore verso Dio30.

La Carità che non è operativa, che non agisce per la Scrittura è indice dell’assenza della Fede in Dio31. La Scrittura fa coincidere i due aspetti della Carità nel duplice comandamento32 che unisce l’amore di Dio e l’amore verso il Prossimo33.

Dio ci interpella nel Prossimo, nel quale egli stesso viene accolto e ospitato e che, a sua volta, diviene criterio della sua stessa prossimità34 ponendolo come criterio della sua stessa prossimità35.

Il vissuto teologale della Carità del cristiano, sia che si rivolga a Dio oppure al Prossimo, è sempre il medesimo: al suo fondamento sta la Carità di Dio che istituisce la virtù teologale36.

 

La forma della Carità divina

La gratuità della relazione che Dio pone in atto tra le due alterità assume sempre la forma di un Dono, un’apertura verso l’altro come espressione del Dono incondizionato di sé. Dio offre se stesso sempre in modo gratuito e incondizionato con l’intenzione del bene del suo interlocutore chiunque esso sia37, un’agápē che diventa accoglienza.

Il binomio ricevere-donare circoscrive questa relazione di accoglienza come ricettività sia in rapporto con Dio che viene accolto nella sua Grazia (Dono), la cui chiusura si configura come hybris dell’autosufficienza, sia in rapporto con l’altro Uomo/Prossimo.

L’Ospitalità entra nella dinamica intrinseca della carità/agápē come relazione di donazione e di accoglienza, esplicitando bene la sua intenzione originaria di incontrare altro. Non si può parlare di agápē in una relazione che è chiusa all’accoglienza dell’altro, alla donazione e alla reciprocità. La carità/agápē dischiude il soggetto credente all’accoglienza, creando quel circolo virtuoso di donazione accogliente e accoglienza donante38.

L’accoglienza agapica del Credente ci restituisce l’immagine del Figlio nella sua verità teologale che in essa si rende presente, il suo essere in Cristo che è in relazione accogliente (ospitale) con il Padre e con il Prossimo.

Questa relazione ospitale tra il Padre e il Figlio, che viene accolto eternamente dal Padre, si costituisce come il fondamento di quella Ospitalità che nella storia ha accolto gli Uomini, li ha resi capaci di donare, a loro volta, la stessa carità ricevuta dal Padre per mezzo del Figlio, nella potenza dello Spirito Santo.

 

L'Amore e l'Accoglienza ospitale di Cristo

La Scrittura ci attesa che per Cristo amare significa, se possiamo dire, costitutivamente accogliere l’altro a partire dall’Ospitalità degli ultimi, dei piccoli e dei peccatori donando loro la carità del Padre, che ama tutti in modo incondizionato. Il suo amore non si dà in forma differente da questo modo di accadere39.

Il nostro essere ospitati da Cristo ci pone in relazione di accoglienza agapica con il Padre e con il Prossimo; l’accoglienza ospitale dei fratelli diventa la condizione dell’accoglienza stessa di Cristo e in lui del Padre40.

L’accoglienza agapica di Cristo, che è ricevuta dal Padre come Dono, crea la Comunione che nello Spirito si manifesta come apertura all’altro41. Solo così l’agápē diventa l’accoglienza che crea la relazione di reciprocità nella comunione come apertura: non è un amore che omologa e annienta annullando le differenze, è la carità/ agápē di Dio che si apre all’accoglienza e alla reciprocità del Dono nel pieno rispetto della differenza dell’Altro.

Questa dimensione teologale dell’agape di Cristo istituisce il suo tratto profondamente cristiano, il suo novum, dove Dio stesso si comunica a noi direttamente nel suo Figlio42. L’agápē di Cristo diventa l’imperativo fondante del nostro Amare il Prossimo secondo la sua modalità43.

 

carità virtù teologale

 

Essere con-formi a Cristo

Accogliere come Lui ha accolto, aprendosi nella sua sequela che rende con-forme a Lui e abilita il soggetto credente all’imitazione della sua ospitalità. Il «come Cristo» diventa, si costituisce, sia come principio/causa, sia come norma dell’agire ospitale di una libertà che si apre all’incontro con l’altro. In Cristo la Libertà coincide con l’agápē, Cristo diventa il volto della Carità che accoglie in modo incondizionato, il volto dell’Ospitalità di Dio, e si costituisce come il paradigma della sua sequela, cioè del suo stile di relazionarsi.

L’eccedenza della sua Carità, che suscita un determinato modo di agire, informa l’etica dell’accoglienza ospitale; essa diventa una espressione peculiare della libertà cristiana responsabile44. Il Principio conoscitivo della sua realtà profonda è l’evento Gesù Cristo che suscita la Fede, come ribadisce la Scrittura è una Fede che opera per mezzo della carità45.

 

Condizioni dell'Accoglienza agapica cristiana


Le condizioni, per cui l’accoglienza agapica di Cristo accada, nascono dalla prossimità dell’alterità umana: l’unica condizione necessaria è la presenza del volto umano, il chiunque, come lo troviamo narrato nella parabola del Buon Smaritano, dove la stessa presenza dell’uomo ferito suscita la responsabilità della libertà.

Non la modalità della sua presenza (malato/sano, povero/ricco, credente/eretico, ecc.), ma il suo esserci sollecita la nostra Ospitalità come apertura all’incontro46. La relazione ospitale istituita dalla prossimità svela la propria disponibilità a diventare la prossimità nella sequela come discepoli di Cristo: il loro modo di essere, rendendosi conformi a Cristo, li rende ospitali.

Essa è una delle molteplici forme in cui l’agápē di Cristo si manifesta come amore gratuito che si dona e prende forma in una relazione specifica, appunto, essa rappresenta una sua figura particolare.

 

La predilezione di Cristo verso chi è in difficoltà

La Scrittura ci attesta in modo assai evidente una particolare predilezione di Dio nell’accoglienza ospitale delle categorie dell’umano segnate da debolezza, ferita e peccato, alle quali addirittura viene legato il primo annuncio della Buona Novella come assoluta priorità, corrisponde quella cifra sintetica del "povero", che in sé racchiude un mondo esistenziale spesso segnato dall’incapacità di relazionarsi all’altro sia per la propria inconsistenza antropologica, sia per la chiusura degli altri nei suoi confronti.

La gratuità incondizionata che Dio riserva a queste categorie ci è attestata copiosamente dall’agire messianico di Gesù47 e, nello stesso tempo, la loro sorprendente apertura e accoglienza del suo messaggio di salvezza.

L’Ospitalità agapica di Cristo ovviamente non si ferma soltanto all’accoglienza dei poveri, ma si spinge verso l’uomo segnato dal peccato, da qualsiasi tipo di limite definibile in termini antropologici (pubblicani, farisei, ladroni, prostitute, eretici, ecc.), e diventa un’accoglienza misericordiosa, come testimoniano le Ospitalità scandalose che Gesù praticava puntualmente48.

Anche la figura del nemico segnata non dal male fisico, come potrebbe essere la figura del povero, ma dal male morale, che suscita una generale l’ostilità sociale del tempo, non viene esclusa dalla relazione agapica di Cristo perché, nonostante tutto, Gesù ci manifesta nel suo agire che ogni uomo indistintamente conserva in sé l’immagine di Dio e la dignità dell’essere umano49. L’accoglienza agapica innesca questo dinamismo morale che, offrendo il perdono, è capace di suscitare la conversione50.

 

L'Amore verso il Prossimo: l'intenzionalità teologale


L’agápē come amore del Prossimo, in quanto fondato sull’amore di Dio (il suo fondamento teologale), viene costituito da Cristo come il principio unificante dell’agire morale cristiano51: è quella pienezza della legge di Dio che si manifesta come il suo compimento52.

Questo Amore del Prossimo struttura la libertà del soggetto credente53 che vive in comunione con Dio e con il Prossimo e, come il suo costitutivo, infonde in essa l’intenzionalità teologale della comunione54.

L’accoglienza agapica come dinamica intrinseca della carità/agápē, esplicita bene la sua intenzione originaria di incontrare altro nel dinamismo caritativo che procede dalla partecipazione alla carità trinitaria, dove si svela come la forma costitutiva del nostro essere in Cristo55.


Ogni altra prospettiva difficilmente potrebbe dischiudere il suo accadere nelle condizioni della parabola del Buon Samaritano, che ci viene narrata dalla tradizione lucana. Il suo essere indisgiungibile dal fondamento agapico diventa la condizione fondamentale della sua comprensione teologica e ci proietta in quell’orizzonte come costitutivo dell’agire morale cristiano.

Inoltre è comprensibile il perché ogni chiusura all’accoglienza dell’altro, che cerca di adottare qualche giustificazione teologica in difesa della Fede professata o una eventuale intenzionalità di Dio che prospetterebbe delle chiusure tali da garantire una buona relazione con Lui, non deforma solo la stessa immagine del credente in Cristo, la cui mancanza nell’agire concreto immediatamente rimanda all’inautenticità della fede professata, ma snatura l’essenza del messaggio evangelico di comunione.

 

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[1] Cfr. 1Gv 4,8.16

[2] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 169.

[3] Cfr. W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, 267.

[4] Cfr. Rm 8,32

[5] Cfr. Mc, 14,36; Lc 10,22; Eb 10,7-9; Gv 4,34

[6] Cfr. Gal 3,13-14; Fil 2,8

[7] Cfr. Rm 13,8; Gal 5,14

[8] Cfr. Rm 13,9

[9] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 176.

[10] 1Gv 4,8.16

[11] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 179.

[12] Cfr. W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, 398.

[13] Cfr. Agostino, De Trinitate, VIII, 10, 14.

[14] Cfr. Agostino, De Trinitate, VI, 5, 7.

[15] Cfr. W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, 411.

[16] Cfr. F. Bourassa, Questions de théologie trinitaire, Presses de l’Université Gregorianne, Roma, 1970, 79.

[17] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 183.

[18] Cfr. Gv 3,16

[19] Cfr. Gv 15,9; 1Gv 4,9

[20] Cfr. Rm 5,7-8

[21] Gv 15,13

[22] Cfr. S.A. Panimolle, Dio è amore, EDB, Bologna, 1984, 146.

[23] Cfr. 2Cor 5,1

[24] Cfr. Rm, 8,29

[25] Cfr. 2Cor 3,3

[26] Cfr. Gal 5,22

[27] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 207.

[28] Cfr. Gv 4,11

[29] Cfr. 1Gv 4,7-8

[30] Cfr. 1Gv 4,20-21

[31] Cfr. Gc 2,26

[32] Cfr. Mt 22,37-40

[33] K. Rahner, «Unità dell’amore di Dio e del prossimo» , in Id. Nuovi Saggi, Edizioni Paoline, Roma, 1968, Vol. I, 393.

[34] K. Rahner, «Unità dell’amore di Dio e del prossimo», 408.

[35] K. Rahner, «Unità dell’amore di Dio e del prossimo», 410.

[36] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 224.

[37] Cfr. Lc 6,35  

[38] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 228-229.

[39] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 229.

[40] Cfr. Mt 9,37; 10,40

[41] Cfr. B. Forte, Trinità come storia, 176.

[42] Cfr. J. Alfaro, Esistenza cristiana, Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1979, 191.

[43] Cfr. Gv 15,9-17

[44] Cfr. 1Cor 13,4-7

[45] Cfr. Gal 5,6

[46] Cfr. Lc 10,30-37

[47] Cfr. Lc 4,18; 7,22

[48] Cfr. Mc 2,14-17; Lc 5,27-32; 15,11-32

[49] Cfr. Lc 6,27; 23,34; Mt 5,44-45; Rm 5,6.8.10

[50] Cfr. Lc 19,1-10

[51] Cfr. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34

[52] Cfr. Rm 13,8-10

[53] Cfr. Gal 5,13-14

[54] Cfr. M. Cozzoli, Etica teologale, 308.

[55] Cfr. G. Gillman, Il primato della carità in teologia morale, Morcelliana, Brescia, 1959, 183-184.

 

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