Il 21 settembre ricorre ogni anno la Giornata Mondiale dell'Alzheimer, una giornata volta a creare maggiore consapevolezza tra i cittadini e le istituzioni.
Per l'edizione 2023 l'IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio ha organizzato un evento dedicato a tutti i famigliari dei malati, i cosiddetti caregiver, così da ricordare loro che non sono soli nell'affrontare le sfide del morbo di Alzheimer.
In questo articolo riprenderemo i punti salienti dell'evento.
- L'evento dell'IRCCS Centro San Giovanni di Dio: finalità e organizzazione
- Gli sviluppi della ricerca e le metodologie innovative dell'IRCCS
- Il valore della partecipazione alla Ricerca sperimentale
- Nuove frontiere terapeutiche: il caso delle afasie e dei Disturbi del Comportamento
- Essere caregiver: i dati e l'impatto emotivo
- Il valore dell'Assistenza, il ruolo fondamentale dei caregiver
Siamo accanto a chi aspetta una cura: da chi ne soffre, a chi condivide speranza e paure. Scarica la nostra guida per l'Alzheimer, troverai alcune informazioni utili per la gestione della malattia.
L'IRCCS San Giovanni di Dio di Brescia è un centro cardine nella cura e nella ricerca di malattie neurodegenerative e psichiatriche.
Il nostro Istituto conta circa 100 ricercatori con competenze diverse che in modo complementare cercano di far luce sui meccanismi e le tracce sintomatologiche della malattia di Alzheimer.
Tutti i nostri Ricercatori negli anni hanno messo a fattor comune le loro capacità e la loro esperienza: tale impegno ci ha permesso di raggiungere ottimi risultati riconosciuti a livello istituzionale. Infatti, il Ministero della Salute ci ha selezionato tra i principali centri che operano attraverso la diagnostica avanzata: un progetto a lungo termine, con un orizzonte temporale tra i 7 e gli 8 anni.
L'evento "La ricerca a fianco di chi si prende cura", del 21 settembre 2023, si riferisce alla popolazione e ai caregiver con una duplice finalità: affiancare i famigliari nel momento del dolore; dare voce a giovani ricercatori che studiano l'approccio alla relazione tra paziente e famigliare con metodologie innovative.
In Italia, ci sono circa 600 mila malati di Alzheimer che hanno accanto circa 3 milioni di caregiver e nella specificità del nostro Centro si tratta di circa 2 mila famigliari che assistono il malato e soffrono con lui.
All'evento hanno partecipato diverse figure di rilievo dell'IRCCS.
L'IRCCS San Giovanni di Dio indaga i marcatori biologici per comprendere le correlazioni con lo sviluppo della malattia di Alzheimer. I marcatori si possono osservare a seguito di un prelievo di sangue: nel plasma e nel siero ci sono tutte le proteine del nostro organismo.
Alcune proteine sono chiamate "marcatori" perché modificandosi creano all'interno del corpo delle varianti in cui può presentare una patologia.
"Ad oggi, i biomarcatori non sono ancora usabili in diagnosi in quanto le loro variazioni possono essere minime e per essere valutate nei pazienti che hanno decadimento cognitivo devono essere confrontate con chi non ha la patologia. Per farlo, serve avere una numerosità di pazienti tale da poter fare prelievi: qui entra in gioco la ricerca dei nostri professionisti e il supporto dell'informatica grazie alla quale è possibile valutare le variazioni di oltre 40mila molecole." spiegano i nostri Professionisti.
La ricerca, quindi, ogni anno sviluppa nuove ipotesi terapeutiche e si innova. Cosa non cambia però nelle attività di ricerca del nostro Centro?
"L'attenzione del paziente e del famigliare nell'assistenza continua. Per riuscire a trovare cure specifiche è essenziale cogliere il senso della persona, della sua storia e delle cose che ha fatto perché influenzano molto le forme di espressione della genetica."
Capirlo non è facile, serve partecipazione dei famigliari e dei pazienti: le informazioni sui pazienti e sullo sviluppo della malattia servono per capire un pezzo della complessità.
"Partecipare alla ricerca significa dare luce a qualcosa che ha molte ombre", affermano i nostri Professionisti.
L'IRCCS Centro San Giovanni di Dio ha due anime: una clinica e una di ricerca. Questo significa che accanto alle cure e ai trattamenti convenzionali è possibile accedere a cure sperimentali.
Cosa comportano gli studi di ricerca? "
Partecipare a uno studio significa avere una possibilità da poter cogliere. Creare dialogo con i caregiver è importante per trasmettere il motivo per cui è importante partecipare." afferma la Dottoressa Almici.
Di fatto, alcuni studi richiedono criteri di accesso dati dalle case farmaceutiche per cui non sempre tutti i malati possono partecipare.
"Quando si partecipa a uno studio si hanno principalmente due emozioni: paura e speranza. La paura nasce dall'accettazione della malattia. La speranza si fonda sulla prospettiva di stare meglio e di essere di aiuto anche ad altre persone."
Essere parte di questi studi implica visite più lunghe e più frequenti della clinica tradizionale. Non significa solo provare diversi trattamenti, ma anche sentirsi presi in carico in modo diverso. L'Equipe ha a disposizione maggior tempo e accompagna il paziente in ogni fase dello studio e della malattia, condividendo speranze e paure.
Scopri tutte le attività di Ricerca del nostro Istituto.
Accanto alla ricerca farmaceutica, l'IRCCS San Giovanni di Dio mette a disposizione terapie e servizi non farmacologici a supporto del paziente e dei caregivers.
La demenza frontotemporale è un'altra forma di demenza che talvolta si presenta con un Disturbo del Linguaggio. Si tratta di una forma aggressiva di disturbo cognitivo che si sviluppa in un soggetto giovane, con età inferiore di 65 anni. In questi casi, è lo stesso paziente a rivolgersi ai professionisti in quanto ha consapevolezza di avere un problema - diversamente da quanto accade per l'Alzheimer.
Accanto alle scoperte farmacologiche, la terapia non farmacologica è fondamentale. "Oltre al trattamento tradizionale, noi affianchiamo quello condotto tramite il supporto delle tecnologie. Ci sono tecniche di stimolazione che hanno l'obiettivo di attivare le regioni cerebrali non attive per colpa delle patologie." spiega la Dottoressa Cotelli.
"Inoltre mettiamo a disposizione training professionali in modo personalizzato. Questi trattamenti possono essere erogati a domicilio, così da raggiungere più pazienti e assicurare continuità e intensità di cura." spiega la Dottoressa Cotelli.
I Disturbi del Comportamento di chi soffre di Alzheimer interrompono la quiete famigliare e sono tra i sintomi che creano maggiori problemi in famiglia.
"Trent'anni fa i pazienti arrivavano in ospedale quando si palesavano questi Disturbi. Si tratta però di una fase molto avanzata." spiega la Dottoressa Geroldi.
"Con l'aumentare degli studi si è scoperto che non sempre si manifestano nei malati di Alzheimer. Tali Disturbi inoltre sono caratterizzati da un ciclo: hanno un inizio, una crescita e un calo. Alcuni peggiorano ma poi scompaiono perché ognuno ha la propria storia e per ognuno è diverso."
Per riuscire ad affrontarli, spesso si inizia da un trattamento non farmacologico: si parte cambiando il comportamento. Dopodiché si può passare all'assunzione di medicinali, ma i farmaci indicati per i Disturbi del Comportamento sono off-level ovvero sono stati disegnati per altre malattie.
Come gestire i disturbi del comportamento?
"Nel periodo della crisi pandemica abbiamo cercato di essere vicini ai famigliari. Abbiamo creato uno sportello per parlare e gestire questi Disturbi. Sono incontri singoli per parlare con il famigliare e capire la rete sociale in cui sono inseriti, aiutando a trovare delle nuove soluzioni per gestirli." spiega la Dottoressa.
Sebbene per anni si sia cercato il cosiddetto "proiettile magico", ovvero una risposta terapeutica farmacologica che potesse combattere l'Alzheimer, oggi si stanno formalizzando diverse altre soluzioni. Accanto all'assunzione di una combinazione di farmaci differenti, le terapie non farmaceutiche aiutano il malato nelle diverse fasi della malattia.
In ciascuna di queste fasi, chi assiste il malato ricopre un ruolo fondamentale. Con il termine "caregiver" si intendono tutte le persone che assistono un individuo che ha una malattia cronaca o un disturbo.
In Italia un terzo della popolazione ricopre un ruolo di caregiver. Ma chi sono generalmente i caregiver? Una buona quota fa parte della cosiddetta "generazione sandwich" - spiega la Dottoressa Festari - ovvero persone che si occupano allo stesso tempo di un figlio ancora non indipendente e di un genitore che ha una malattia neurodegenerativa.
"In particolare, il 70% dei caregiver è una donna tra i 55-59 anni ed è la figlia del malato. Negli ultimi anni si sta però osservando sempre un maggiore coinvolgimento del partner di sesso maschile. In media ci sono 5h di assistenza diretta e 11h di sorveglianza, per un periodo di tempo medio di 4 anni" continua la Dottoressa.
"Assistere una persona che ha una malattia cronica espone a uno stress cronico. In questo senso si sviluppa una patologia chiamata "Burden" che si manifesta in una sintomatologia di stress e nervosismo costante e frequente. A ciò si accompagna una diminuzione dell'empatia e la creazione di pensieri ansiosi, ma si può anche provare un calo della produttività derivato dal pensiero di casa", spiega la Dottoressa Festari.
Quando non si ha una una rete famigliare di supporto il rischio è quello di abbandonare il lavoro o interromperlo.
Secondo un questionario condotto dall'IRCCS, disponibile negli ambulatori, già il 60% dei caregiver che assistono i malati dei nostri Centri ha la sindrome di burden. In loro aiuto, il nostro Istituto mette a disposizione dei servizi:
Spesso un malato di Alzheimer è supportato non da un solo un caregiver, ma una serie di persone: l'assistenza al malato crea cambiamenti nelle famiglie e nei singoli membri.
In un team di professionisti ci deve essere qualcuno che prende in carico la famiglia.
"Un caregiver deve reinventarsi e imparare a fare qualcosa che prima non sapeva fare. Non si parla solo di assistenza ma anche dell'organizzazione della stessa assistenza: devono rivolgersi ai professionisti e agli operatori. Spesso non si hanno risposte perchè mancano gli strumenti per capire le domande giuste da fare." spiega la Dottoressa Bonomini.
"Una malattia di Alzheimer richiede risorse economiche ma anche emotive e fisiche per lungo tempo: è importante capire la disponibilità di risorse e i bisogni del caregiver perchè non si può considerare il paziente senza il famigliare." continua.
"Essere caregiver è complesso sia dal punto di vista logistico sia dal punto emotivo e psicologico. Tante sono le emozioni legate all'assistenza e alcune negative possono inficiare alla possibilità di assistere." continua la Dottoressa Rosini.
Un caregiver informato e pronto ai cambiamenti del famigliare è un caregiver prezioso per un'assistenza migliore. Inoltre è una figura fondamentale per i professionisti perché quando il caregiver sa raccontare efficacemente la storia del paziente, allora i medici sanno offrire soluzioni.
"I gruppi di psicoeducazione sono una risorsa essenziale a livello emotivo e relazionale. Conoscere permette di avere meno paura e ansia e permette di affrontare meglio i cambiamenti. Se il caregiver è sicuro, anche il paziente potrà esserlo di più." afferma la Dottoressa Rosini.
Siamo accanto a chi cerca una risposta, i nostri servizi sono aperti e disponibili. Per maggiori informazioni non esitare a contattarci.
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