In Italia 600.000 persone devono confrontarsi con la malattia di Alzheimer, che sconvolge le loro vite e quelle dei loro cari: per questo, promuovere la scoperta di nuove cure e approcci terapeutici nell'interesse dei pazienti e dell'intera comunità diventa sempre più significativo.
La Dott.ssa Roberta Ghidoni, Direttrice Scientifica dell'IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio, ci racconta di un recente progetto sull'identificazione di un nuovo biomarcatore comune all'Alzheimer e altre demenze. In più, un nuovo saggio di spettrometria di massa è stato coordinato dal Laboratorio Marcatori Molecolari: ce ne parla invece la Dott.ssa Luisa Benussi.
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L'interesse di ricercatori e clinici nei confronti delle vescicole extracellulari – EVs, inclusi esosomi di origine endosomiale – è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni in seguito alla scoperta che esse, generate non solo in colture cellulari, ma anche presenti nei fluidi corporei, svolgono un ruolo importante in numerosi aspetti della biologia ed in molte malattie (come ad esempio, tumori, l'HIV/AIDS).
Abbiamo in precedenza ipotizzato che nel corso dell’invecchiamento gli esosomi – complesso multiproteico presente nelle cellule – possano svolgere un ruolo chiave nella comunicazione neuronale: secondo tale ipotesi, durante l’invecchiamento, ossia in una condizione che si associa ad una progressiva perdita di neuroni, gli esosomi potrebbero essere strumenti fondamentali per la trasmissione di biomolecole tra cellula e cellula. Di conseguenza, la sopravvivenza dei neuroni potrebbe essere facilmente influenzata da fattori in grado di modularne il rilascio o la composizione.
Tali vescicole, sono in grado di viaggiare da una cellula all'altra, trasferendo il loro contenuto attraverso la membrana cellulare e consegnando il messaggio macromolecolare in una forma biologicamente attiva. Dati di letteratura suggerisco che gli esosomi sono in grado di trasferire da cellula a cellula anche proteine tossiche, quali il peptide Abeta, tau alfa-sinucleina coinvolte nella patogenesi della malattia di Alzheimer, della demenza frontotemporale e della demenza a Corpi di Lewy.
La presenza di alcuni marcatori di EVs in placche amiloidi nei cervelli di pazienti affetti da Alzheimer supporta l’ipotesi che le EVs possano contribuire all’insorgenza e alla progressione della malattia: pertanto, le EVs ed il loro carico sono da considerarsi potenziali biomarcatori per le demenze.
Abbiamo recentemente identificato un nuovo biomarcatore plasmatico, descrivendo una riduzione della concentrazione e un aumento della dimensione delle vescicole extracellulari nel plasma di pazienti con malattia di Alzheimer, demenza frontotemporale e demenza a corpi di Lewy rispetto ai soggetti controllo.
“Per stimare le prestazioni diagnostiche di questi due parametri (concentrazione e dimensione delle vescicole estracellulari) nel discriminare i pazienti dai controlli, è stata creata una nuova variabile, ovvero il rapporto concentrazione/dimensione confermando una elevata sensibilità e specificità del saggio” specifica la Dott.ssa Roberta Ghidoni, responsabile del Laboratorio Marcatori Molecolari e Direttrice Scientifica dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia.
Questi dati sono importanti in quanto mettono in luce l’esistenza di un meccanismo molecolare comune alle tre forme di demenza. “Il livello delle vescicole extracellulari nel sangue è regolato da una serie di fattori che agiscono a livello intracellulare. Stiamo pertanto studiando quali fattori possano spiegare le alterazioni osservate, al fine di identificare vie comuni alterate nelle demenze e più in generale nelle malattie caratterizzate da accumulo di proteine a livello cerebrale. I risultati sono promettenti e sono frutto del lavoro svolto nell’ambito del progetto europeo EU Joint Programme-Neurodegenerative Disease Research JPND LODE da me coordinato” ha aggiunto la responsabile.
La malattia di Alzheimer, una delle cause più comuni di demenza, è caratterizzata dall'accumulo cerebrale progressivo di aggregati del peptide beta amiloide (Abeta): tali modifiche a livello cerebrale si riflettono in livelli ridotti del peptide Abeta nel liquido cerebrospinale.
Il rafforzarsi dell’”ipotesi della cascata amiloide”, cioè che l’accumulo del peptide Abeta a livello cerebrale sia evento centrale nella patogenesi della malattia, ha favorito lo sviluppo di farmaci “anti-Abeta”: la rimozione di Abeta, grazie all’immunoterapia è un approccio terapeutico in cui sono riposte grandi speranze.
Le forme più comunemente studiate di Abeta sono le due forme più lunghe, Abeta 1-40 e Abeta 1-42: oltre a questi peptidi, sono state tuttavia identificate altre forme di Abeta, sia nel cervello che nel liquido cerebrospinale, che sembrano svolgere un ruolo importante nell’esordio della malattia. Rispetto alle forme Abeta1-40 e Abeta1-42, questi peptidi sono frammenti più corti (troncati nella parte iniziale) e talvolta con aminoacidi modificati in piroglutammato.
In un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Neuroscience un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano e la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, hanno messo a punto un nuovo saggio di spettrometria di massa per l’identificazione ed il dosaggio di diverse forme del peptide beta amiloide nel liquido cerebrospinale di pazienti con malattia di Alzheimer.
Tale metodo permette di quantificare, in maniera rapida e semplificata rispetto agli altri metodi che si basano sulla stessa tecnologia, 19 forme di Abeta, compresi alcuni frammenti troncati nella parte iniziale e con piroglutammato, mai dosati prima nel liquido cerebrospinale. Utilizzando questo metodo sono state inoltre identificate e quantificate forme di Abeta mai descritte in precedenza: quattro frammenti legati al rame e due frammenti con aggiunta di fosfato, che risultano essere tra le forme più abbondanti nel liquido cerebrospinale.
Il saggio, applicato in uno studio pilota su liquido cerebrospinale di pazienti Alzheimer, soggetti con lievi disturbi di memoria e soggetti senza oggettivi disturbi di memoria come gruppo controllo, ha evidenziato un’alterazione del livello di cinque frammenti di Abeta, sia nella fase precoce che nella fase conclamata di Alzheimer, oltre a confermare la riduzione del livello di Abeta1-42.
Sebbene sia necessario condurre ulteriori studi per validare questi risultati, questo metodo potrebbe rappresentare un potenziale strumento per la stratificazione dei pazienti ed il monitoraggio della terapia, in particolare in pazienti in trattamento con farmaci “anti-Abeta”, specialmente se diretti contro frammenti modificati di Abeta. Inoltre, le nuove forme di Abeta, identificate nel liquido cerebrospinale per la prima volta grazie a questo saggio, potrebbero rappresentare un potenziale nuovo target terapeutico.
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