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Un balzo nella diagnosi di Alzheimer: «Ecco cosa cambia per noi medici»

Nei giorni scorsi, The Lancet Neurology ha presentato le nuove linee guida nella diagnosi dei disturbi cognitivi, tra cui l'Alzheimer

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"Sono le prime raccomandazioni che utilizzano anche i biomarcatori e sono state realizzate dagli esperti delle maggiori Società Scientifiche in Europa, coordinate dall’Università di Genova - Irccs Ospedale Policlinico San Martino, dall’Università di Ginevra e dall’Irccs Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia." spiega la dott.ssa Cristina Festari, Psycologist Researcher.

"Consentiranno di dare un nome ai primi segni di deterioramento cognitivo causati da Alzheimer o da un’altra forma di demenza e sono state sviluppate utilizzando la procedura Delphi, coordinata proprio dal nostro Irccs Fatebenefratelli." continua la dott.ssa Festari.

 

Perché sono importanti per il sistema sanitario nazionale?

"Perché razionalizzano e ottimizzano i percorsi diagnostici: in breve, si faranno meno esami e si andrà più a colpo sicuro nell'individuare la causa di certi sintomi" spiega la geriatra dell’Irccs Fatebenefratelli Cristina Geroldi.

"Finora, si procedeva in modo più incerto, anche se alcune Regioni si sono poste il problema, hanno investito e hanno anticipato le linee guida: è il caso del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) della Lombardia" continua la dott.ssa Geroldi.

"Tuttavia, le raccomandazioni devono diventare protocolli e in tal senso serviva una omogeneizzazione a livello europeo, visto che oggi si applicano gli stessi protocolli solo in ambiti territoriali ristretti. Ad esempio, i nostri sono uguali a quelli delle altre istituzioni sanitarie bresciane che si occupano di Alzheimer, ma se soltanto ci spostiamo di provincia qualcosa cambia" conclude la dott.ssa Geroldi. 

 

Cosa cambia per un medico che deve fare una diagnosi?

"Ipotizziamo che si presenti una persona affetta da afasia. Prima si partiva con una risonanza, o una tac, e dei test, e ancora oggi si partirà così, per capire innanzi tutto se abbia problemi vascolari" risponde ancora la dott.ssa Geroldi.

"Poi però non si procederà random: per distinguere una afasia progressiva frontotemporale da un principio di Alzheimer procederemo a una FDG-PET nel primo caso oppure a una PET con tracciante amiloide o ai marker biologici del liquor nel secondo: ciò permette avere una diagnosi in tempi più rapidi e, sulla base degli studi che hanno condotto a queste linee guida, anche certisottolinea la dottoressa. 

 


Quali esami si usano?

"Per la prima volta, le raccomandazioni - facilmente implementabili in ogni centro specializzato (CDCD) - non sono centrate sulla malattia, ma sul paziente e i suoi sintomispiega la dott.ssa Geroldi.

"A partire da 11 diverse modalità con cui si presenta un deterioramento cognitivo, in 4 passi successivi e con test differenti a seconda del profilo del singolo paziente, si potrà individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse" continua la dottoressa.

"Si utilizzeranno oltre ad analisi del sangue, test cognitivi, risonanza magnetica o TAC e in alcuni casi elettroencefalogramma, ma anche l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, PET o SPECT di differenti tipologie, scintigrafie... Quando sarà possibile associare l’utilizzo di biomarcatori rilevabili nel sangue, l’iter potrà ridurre fino al 70% gli esami strumentali inutili" conclude la geriatra Geroldi.

 

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