La risposta è molto. E lo sanno bene i tanti anziani che decidono di intraprendere questo percorso, per affrontare le trasformazioni del corpo e le paure scatenate dal tempo che passa. Barbara Gabbrielli, giornalista di Starbene, ne parla con Maria Rapolla, responsabile di psicogeriatria del Centro Sant’Ambrogio del Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio.
Oggi, dopo una certa età, non si pensa più solo al corpo e a come farlo funzionare, si è infatti capito che occorre prendersi cura anche della mente, delle emozioni e delle dinamiche relazionali. Non a caso, negli ultimi anni le richieste di un supporto psicologico da parte di over 65 sono aumentate, spingendo geriatri e psicoterapeuti a considerare in maniera diversa l’approccio alle esigenze interiori di una fascia della popolazione sempre più numerosa e longeva, circa 13 milioni di italiani.
Che il trend sia d’attualità lo dimostra il fatto che è appena stato presentato il primo Libro Bianco sui bisogni psicologici degli anziani, curato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia. «Dieci anni fa non sarebbe venuto in mente a nessuno, perché questa fascia della popolazione aveva caratteristiche molto diverse da quelle odierne», commenta Gianluca Castelnuovo, professore di psicologia clinica dell’anziano all’Università Cattolica di Milano e curatore del testo.
«Oggi, non solo esiste la psicogeriatria, non solo il sostegno psicologico è diventato parte della gestione delle cronicità in ospedale e nelle strutture per anziani, ma gli studi privati accolgono un numero sempre maggiore di over 65. Molti stereotipi sono caduti: prima le persone si sentivano condannate all’invisibilità, alla sopportazione e all’immobilismo. Ora non è più così». Prosegue Maria Rapolla: «Questo periodo esistenziale viene vissuto dai diretti protagonisti non come il tratto finale della vita, ma come l’inizio di un ciclo differente, di una fase da attraversare nel migliore dei modi, non a margine della società ma con ruoli moderni. La psicologia dunque può rispondere in maniera efficace a questi nuovi bisogni». Anche perché la Società italiana di geriatria e gerontologia ha fatto slittare la definizione “terza età” dai 75 anni in poi.
Ma a una certa età qual è la motivazione che porta sul lettino dello psicologo?
«Gli ultrasettantenni si trovano spesso in una situazione in cui rimangono improvvisamente soli, smettono di lavorare, magari, escono di meno e iniziano a preoccuparsi di più per la propria salute», prosegue la dottoressa M. Rapolla. «A fronte di una condizione cognitiva ancora ottima, i problemi possono essere di varia natura, ma a differenza di un tempo, oggi ci sono sempre più persone che decidono di trovare attivamente una soluzione. E questo è sicuramente la dimostrazione di una nuova vitalità».
La psicologia dell’invecchiamento, infatti, promuove il benessere mentale, sostenendo l’autostima, l’equilibrio emotivo a fronte di inevitabili trasformazioni, fornendo spunti per vivere anche una rinnovata sessualità. Inoltre, stimola le funzioni cognitive e spinge alla socializzazione.
E il lavoro che gli esperti sono chiamati a svolgere con questi pazienti è molto diverso. «Si tratta di una psicoterapia supportiva e relazionale. Non di un percorso psicoanalitico del profondo», aggiunge Rapolla. «A 65 anni ci si conosce già e, comunque, non è necessario rimettersi in discussione. Servono invece spunti e stimoli per ridare qualità alle giornate. Per reinventarsi anziché rassegnarsi al senso di inadeguatezza».
Certi temi sono fondamentali: come superare un lutto, accettare la pensione, affrontare la paura della morte. «Tutti passaggi che creano disagi che è giusto affrontare con gli strumenti adatti. La figura dello psicoterapeuta diventa centrale perché aiuta chi è in difficoltà a liberare le emozioni», conclude il professor Castelnuovo. «Il lavoro sulla reminiscenza, per esempio, è importantissimo: attraverso i ricordi si riesce a fare il punto su quanto di bello c’è stato nella propria vita, a focalizzare le proprie risorse, ma anche ad affrontare sensi di colpa, ferite, sentimenti non chiariti».
Il passo successivo? Capire che entrare nello studio di uno psicologo non è un capriccio né un gesto che deve far paura, ma un tassello fondamentale per il benessere di cui ogni persona ha diritto.
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