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Il lutto ai tempi del Covid e il dramma di chi lotta in corsia: la parola alla Dott.ssa Rapolla

22 dicembre 2020

Il trauma della malattia, l’angoscia provata dai familiari dei pazienti che si sono visti improvvisamente separati dai propri affetti, le impreviste complicanze del lutto derivate dalla pandemia, lo sforzo continuo e destabilizzante degli operatori sanitari: date le condizioni di estrema fatica e complessità emotiva, diventa sempre più importante fornire a queste persone un adeguato e repentino supporto.

Quale approccio può essere funzionale in questi casi così complicati e particolari? Ce lo ha spiegato la Dott.ssa Maria Rosaria Rapolla, Responsabile di Psicogeriatria del Centro Sant’Ambrogio del Fatebenefratelli.

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L’impatto drammatico della malattia sui pazienti Covid

Oltre all’isolamento e all’angoscia di perdere il lavoro o chiudere la propria attività, c'è chi ha subito il Coronavirus in modo ancora più grave, andando incontro ad un lungo ricovero, magari anche in Terapia Intensiva. In questo caso, incredibilmente forte e destabilizzante è il trauma della morte derivato dall’inquietudine di non poter superare la malattia. Gli stessi sintomi Covid sono di per sé ansiogeni: mancanza d’aria e senso di soffocamento, oppressione o dolore al petto, stanchezza e affaticamento. La natura stessa del virus e dei disturbi che porta con sé sembrano minare all’equilibrio della psiche dei pazienti. 

In aggiunta, il semplice essere esposti in stanze comuni con altre persone sofferenti costituisce un evento traumatico: il dolore degli altri pazienti diventa così lo specchio della propria pena e dei propri timori. Tutto ciò comporta nella persona che lo vive o lo ha vissuto un fattore di forte stress emotivo, che è significativamente maggiore rispetto al resto della popolazione. Ma cosa accade nella mente di chi ha superato l’infezione da Covid, anche se a uno stadio grave?

In questi casi, coloro che hanno vissuto questo tipo di esperienza manifestano il ripetersi di frammenti di ricordi, legati a quei momenti, e che possono ripresentarsi nel sogno o nella memoria. Quando questo accade significa che c’è la possibilità che si strutturi un disturbo post-traumatico da stress. Questo fenomeno psichiatrico si sviluppa in seguito ad un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte, gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.

Si tratta di una patologia curabile attraverso una terapia psicologia, solitamente di tipo cognitivo-comportamentale, associata talvolta ad un trattamento farmacologico: importante è trattare il disturbo in modo che non si cronicizzi e superare con un supporto specialistico l’esperienza traumatica vissuta.

Se desideri ricevere una visita psicologica, puoi richiedere un consulto compilando questo form.

 

Il lutto ai tempi del Coronavirus: la solitudine e la separazione dagli affetti

Un altro aspetto da non sottovalutare è lo stress emotivo subito dai familiari di chi ha avuto una forma grave di Covid-19 o, in casi peggiori, un decesso. Si tratta di una situazione a cui non abbiamo mai assistito prima d’ora: i parenti del paziente si sono visti portare via il loro caro, senza alcuna possibilità di contatto, talvolta senza conoscere la struttura sanitaria del ricovero.

Il paziente veniva allontanato dalla famiglia e non lo si vedeva più: nel migliore dei casi, il ricongiungimento poteva avvenire settimane dopo e i familiari non potevano fare altro che attendere una telefonata da parte degli operatori sanitari che descrivesse la situazione del proprio caro ricoverato.

Spesso le notizie che giungevano dagli ospedali erano peggiori: il paziente era intubato o sedato per essere accompagnato alla morte. I familiari a casa si sono trovati, quindi, a vivere un dramma improvviso nella più completa solitudine: non era in alcun modo possibile avere il calore degli affetti vicini e unica forma di consolazione poteva avvenire soltanto attraverso uno strumento freddo, una telefonata. 

L’emergenza sanitaria ha così delineato una situazione senza precedenti, in cui tutti quei passaggi, che permettono ad una persona di elaborare il lutto in modo adeguato, sono stati annullati. È importante ricordare che nelle prime fasi del lockdown gli stessi funerali sono stati vietati, privando così i familiari di porre una vera e propria conclusione alla tragica esperienza.

Queste difficoltà determinate dal Coronavirus hanno aggiunto un ulteriore peso al dolore, facendo insorgere le condizioni di lutti “complicati”, in cui i cari si sono trovati incapaci di superare il trauma della perdita. Specialmente in questi casi, un aiuto psicologico è essenziale per inquadrare quanto è successo ed elaborare il lutto subito.

 

Il ruolo di “angeli” e il peso di fallire: il dramma di chi combatte in corsia

Grande attenzione deve essere poi rivolta alla complessa situazione vissuta dagli operatori sanitari, che primi tra tutti hanno dovuto affrontare l'incertezza relativa a questa nuova malattia, di cui nei primi mesi non si riusciva a comprenderne la reale gravità e i mezzi per combatterla: tutti loro si sono trovati a fronteggiare un nemico sconosciuto. Per scelta e per missione l’équipe sanitaria è stata costretta ad esporsi al virus, consapevole di non possedere strumenti di protezione individuale adeguati o, in casi peggiori, di non averli affatto.

Da un lato il giuramento di un lavoro, che non è solo un mestiere, e un comprensibile timore per la propria salute personale e il rischio di diventare veicolo di contagio per i propri cari a casa, dall’altro ritmi di lavoro estremamente elevati e una pressione mediatica molto forte: lo stress fisico e psicologico subito dagli operatori sanitari è stato estremamente debilitante e la pressione a cui sono esposti continua ad essere molto forte.

In questo quadro, lo stesso ruolo di "angeli" che l’opinione pubblica ha attributo a medici e infermieri ha creato un ulteriore peso: essere definiti "supereroi" e rispondere a queste altissime aspettative è stato tutt’altro che facile. Tutto questo ha aumentato le loro paure e il timore di fallire: l'angoscia di non poter salvare tutti è stato un altro macigno che hanno dovuto sopportare.

Infatti, già nei primi mesi della pandemia numerosi sono stati i casi d’ansia, depressione, o malauguratamente suicidio, fra gli operatori sanitari: la continua condizione di forte stress e pressione psicofisica può infatti facilmente manifestarsi in un disturbo post-traumatico da stress o a sindromi di burnout

I sintomi sono numerosi e talvolta non espressi completamente dal soggetto che ne è affetto: è possibile che ci sia una fase di distacco per ridurre la carica emotiva del ricordo, cercando di condurre delle attività routinarie oppure quest'ansia si può cronicizzare, portando allo sviluppo di stadi depressivi e avendo la sensazione di vivere in uno stato costante di pericolo e avere fantasie e pensieri suicidi. Fondamentale è non sottovalutare questi segnali: è necessario intervenire prontamente attraverso un supporto specialistico mirato prima che i disturbi si sviluppino e perdurino nel tempo.

 

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